Economia e Diritti

Se il tuo reddito è basso, la pensione anticipata slitta: quanto dovrai lavorare in più

Un’analisi recente della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) mette in luce come le modifiche normative possano tradursiL’aumento dell’età pensionabile e il meccanismo contributivo(www.ripam.it)

Nel dibattito sulla pensione anticipata e sulle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2026, emergono importanti riflessioni.

Un’analisi recente della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) mette in luce come le modifiche normative possano tradursi in un prolungamento significativo della vita lavorativa, con effetti differenziati a seconda della situazione reddituale e contributiva dei lavoratori.

A partire dal 2027, la normativa vigente innalzerà l’età richiesta per la pensione di vecchiaia da 67 anni a 67 anni e un mese, con un ulteriore incremento a 67 anni e tre mesi previsto per il 2028. Parallelamente, si applicherà lo stesso aumento all’accesso alla pensione anticipata ordinaria. Questi adeguamenti sono calcolati in base all’aspettativa di vita e fanno parte di un meccanismo automatico previsto dalla legge, confermato nell’ultima manovra finanziaria.

La CGIL ha però evidenziato come l’aumento dell’età pensionabile non impatti in modo uniforme su tutti i lavoratori. In particolare, per chi ha un reddito inferiore al minimale contributivo – fissato attualmente intorno a 12.551 euro lordi annui – l’allungamento della vita lavorativa si traduce in un aggravio maggiore. Il motivo risiede nel fatto che il minimale rappresenta la soglia minima di reddito necessaria per il riconoscimento di un anno intero di contributi versati. Chi rimane sotto tale limite, pur lavorando e versando contributi, vede contabilizzati meno contributi di quelli effettivamente maturati, con impatti diretti sul diritto alla pensione.

Impatti sociali e giuridici per i lavoratori a basso reddito

L’analisi della CGIL sottolinea come questo deficit contributivo comporti che, per compensare l’anticipo di tre mesi dell’età pensionabile previsto per il 2028, i lavoratori con redditi bassi potrebbero dover lavorare fino a cinque mesi in più. Questa estensione temporale deriva dalla necessità di accumulare un numero pieno di contributi per ottenere il diritto alla pensione, dato che i periodi lavorativi sotto la soglia minima non sono completamente riconosciuti.

I numeri sono significativi: circa 5,1 milioni di lavoratori, pari al 29% dei dipendenti del settore privato che hanno avuto almeno un giorno di lavoro retribuito nel 2024, potrebbero trovarsi in questa situazione di svantaggio. Tale disparità solleva questioni rilevanti di uguaglianza sostanziale e giustizia sociale, principi sanciti dall’articolo 3 della Costituzione italiana, che impone allo Stato di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono una reale parità tra cittadini.

Un sistema previdenziale che imponga oneri aggiuntivi in maniera sproporzionata a chi percepisce redditi più bassi rischia di accentuare le disuguaglianze già esistenti nel mercato del lavoro, andando in contrasto con i valori costituzionali.

Un ulteriore elemento critico riguarda l’incremento del minimale contributivo, non accompagnato da un adeguamento dei salari.

L’aumento del minimale contributivo e la stagnazione salariale (www.ripam.it)

Un ulteriore elemento critico riguarda l’incremento del minimale contributivo, non accompagnato da un adeguamento dei salari. Mentre il valore soglia per il riconoscimento dei contributi cresce, i redditi restano invariati, peggiorando le condizioni di lavoratori già in difficoltà. Questo squilibrio comporta che i periodi lavorativi effettivamente prestati non si traducano più in un corrispondente accredito contributivo, aumentando così la difficoltà di raggiungere i requisiti pensionistici.

La situazione delineata dalla CGIL mette in luce una problematica che rischia di allargare la forbice tra lavoratori con redditi bassi e coloro che invece beneficiano di una contribuzione piena e regolare.

Contesto politico e approvazione della Manovra 2026

Il tema dell’età pensionabile si inserisce nel contesto più ampio della Legge di Bilancio 2026, attualmente in discussione presso la Commissione Bilancio del Senato. Il governo italiano ha l’obiettivo di approvare la manovra entro il 31 dicembre 2025, per evitare il ricorso all’esercizio provvisorio, che limiterebbe la capacità di spesa dello Stato e potrebbe indebolire la fiducia di investitori e mercati.

Nei giorni scorsi, la Commissione europea ha dato il via libera al Documento programmatico di Bilancio dell’Italia, riconoscendo il rispetto dei parametri europei in materia di spesa pubblica. Questo passo favorisce l’uscita del Paese dalla procedura per deficit eccessivo nella primavera 2026 e rafforza la posizione del governo nell’approvazione della manovra.

Un punto di discussione rilevante riguarda l’aumento dell’IRAP a carico delle banche, con una possibile ulteriore maggiorazione rispetto a quanto concordato a ottobre 2025, e la definizione delle franchigie per tutelare gli istituti di dimensioni più ridotte. Anche il percorso parlamentare degli emendamenti è in fase di definizione, con i partiti che stanno cercando di trovare un accordo sul testo definitivo.

Nel complesso, la Legge di Bilancio 2026 conterrà misure che avranno un impatto diretto sia sul sistema previdenziale sia sulle condizioni di lavoro e reddito dei cittadini, con particolare attenzione alle esigenze dei lavoratori più vulnerabili.

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