Il 2026 si avvicina sempre più e con lui anche le nuove riforme al sistema pensionistico italiano, che accoglierà una platea più grande.
L’arrivo del 2026 segna un passaggio delicato per il sistema previdenziale italiano, che si avvicina a una fase di cambiamento strutturale. L’anno non introduce rivoluzioni, ma rappresenta la chiusura di una stagione di deroghe e scivoli che avevano ampliato la flessibilità in uscita.
Allo stesso tempo prepara il terreno al 2027, quando tornerà il meccanismo dell’adeguamento alla speranza di vita e cambieranno diversi equilibri. Capire chi potrà davvero lasciare il lavoro nel 2026 diventa quindi una priorità per lavoratori e aziende.
Le nuove vie della pensione italiana
Le possibilità di pensionamento restano numerose, ma ciascuna con requisiti specifici che restringono la platea dei beneficiari. Le misure anticipate continuano a rappresentare un’opportunità per chi ha carriere lunghe o condizioni personali che rendono difficile proseguire l’attività.

Il 2026 offre diverse vie per lasciare il lavoro – ripam.it
Le vie ordinarie, invece, restano punti fermi del sistema e garantiscono un’uscita stabile a chi ha maturato contributi sufficienti. Il 2026 diventa così un anno di transizione in cui programmare con attenzione la propria strategia previdenziale.
L’Ape Sociale rimane uno degli strumenti più rilevanti per chi vive situazioni di particolare fragilità personale o lavorativa. Richiede 63 anni e 5 mesi e un’anzianità contributiva tra 30 e 36 anni, con accesso per i nati entro luglio 1963.
L’uscita contributiva a 64 anni è una possibilità interessante ma riservata a una platea ristretta, perché richiede almeno 25 anni di contributi post 1996 e un assegno pari a tre volte l’Assegno sociale. Per chi vi rientra, il 2026 può rappresentare un’opportunità concreta di anticipo. La misura resta una delle più selettive dell’intero sistema.
La pensione anticipata ordinaria continua a essere un pilastro stabile, perché prescinde dall’età e si basa solo sui contributi. Servono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, coinvolgendo chi ha iniziato a lavorare nei primi anni ottanta.
Quota 41 resta invece riservata ai lavoratori precoci con almeno 12 mesi di contributi prima dei 19 anni e appartenenza a categorie tutelate. Nel 2026 riguarderà anche chi ha iniziato a lavorare entro il 1985, un’ulteriore aumento della platea pensionistica.
Tra le altre vie di uscita figurano i 66 anni e 7 mesi per i lavoratori gravosi, la Quota 97,6 per i lavori usuranti. Da non dimenticare la pensione di vecchiaia a 67 anni, accessibile con almeno 20 anni di contributi.
Restano confermate anche l’anticipata per invalidità, la contributiva a 71 anni e l’isopensione fino a sette anni prima dell’età ordinaria. Il 2026 offre quindi molte strade per lasciare il lavoro, ma ciascuna con regole precise da valutare con attenzione.
Come andare in pensione nel 2026 - ripam.it






