Le regole sulla successione in Italia prevedono tutele per i figli, ma consentono anche l’assegnazione dell’immobile a un solo erede tramite testamento o donazioni.
Nel mondo delle successioni ereditarie, spesso si pensa erroneamente che tutti i figli ricevano automaticamente una quota uguale dell’abitazione familiare. Tuttavia, la legge italiana sulla successione presenta regole più articolate e non sempre la casa viene divisa equamente tra i fratelli. Tra le novità più recenti nella disciplina ereditare, è fondamentale comprendere come la normativa tuteli i diritti dei figli e le modalità con cui si può assegnare la casa a un solo erede.
La tutela della quota di legittima e la divisione dell’immobile familiare
La normativa vigente, come sancito dall’art. 456 del Codice Civile, garantisce ai figli una quota minima dell’eredità, detta “legittima”, che non può essere lesa neanche da testamenti o donazioni fatte in vita dal genitore. Tale quota è riservata ai cosiddetti legittimari, ovvero coniuge, figli e, in assenza di questi, ascendenti, che godono di una protezione particolare nell’ambito della successione.
Il genitore può tuttavia disporre liberamente di una parte del proprio patrimonio, la “quota disponibile”, assegnandola anche a un solo figlio tramite testamento o donazioni in vita. Queste ultime, pur rappresentando un anticipo sull’eredità, devono rispettare la quota di legittima per evitare contenziosi. Se la legittima viene compromessa, gli eredi possono attivare l’azione di riduzione per recuperare la parte lesa, come previsto dall’art. 554 del Codice Civile.
Quando si apre una successione con un immobile da dividere tra fratelli, si registrano principalmente quattro casi che portano all’assegnazione della casa a un solo erede, mentre gli altri ricevono beni o compensazioni alternative. Ad esempio, se il valore della casa corrisponde alla quota ereditaria di uno dei figli, l’immobile può essere assegnato interamente a lui, con liquidazioni o altri beni destinati agli altri eredi, spesso formalizzate tramite accordi o sentenze giudiziarie.

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In molti casi, donazioni effettuate dal genitore in vita incidono sulla divisione dell’immobile: un figlio che ha già ricevuto beni equivalenti alla sua quota può lasciare la casa all’altro senza complicazioni. Nel caso di comproprietà, l’usufrutto o la convivenza con un contratto di locazione possono attribuire il diritto di abitazione a un solo erede, anche se la proprietà è condivisa, con obbligo di ripartire eventuali canoni.
Nel 2024 e 2025, è stata ribadita l’impossibilità di stipulare patti successori (art. 485 c.c.), cioè accordi che regolano la successione prima della morte del de cuius, ritenuti nulli per preservare la libertà testamentaria. Tuttavia, la donazione in vita rimane lo strumento principale per anticipare parte del patrimonio a un erede.
Attenzione però: la donazione non è un vero anticipo dell’eredità ma un trasferimento di beni tra vivi, che può influenzare la divisione futura del patrimonio. Se la donazione eccede la quota disponibile e danneggia la legittima spettante ad altri eredi, questi ultimi possono impugnarla con l’azione di riduzione.
Importante è anche la questione della dispensa dalla collazione (art. 737 c.c.), spesso inserita nell’atto di donazione per evitare che il bene donato rientri nella massa ereditaria. Tuttavia, tale dispensa non esclude la necessità di rispettare la quota di legittima e non protegge da eventuali azioni di riduzione.
Per evitare problemi, è consigliabile farsi assistere da un notaio al momento della donazione, così da tutelare i diritti di tutte le parti e pianificare correttamente la successione.
La rinuncia all’eredità è un istituto previsto per evitare che l’erede accetti un patrimonio gravato da debiti. Nel caso di figli minorenni, però, la situazione è più complessa: essi non possono rinunciare autonomamente all’eredità, ma è compito di chi esercita la loro responsabilità legale – genitori o tutore – prendere questa decisione.
L’art. 320 del Codice Civile stabilisce che i genitori possono compiere atti di ordinaria amministrazione per conto dei figli, ma per atti straordinari, come la rinuncia all’eredità, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare, che valuta la necessità o utilità della rinuncia per il minore.
Spesso la rinuncia è motivata dalla presenza di debiti ereditari, ma il giudice è attento a non approvare rinunce basate su ragioni non fondate, per non privare i minori di potenziali patrimoni. Se la rinuncia non è autorizzata, l’eredità deve essere accettata con beneficio d’inventario, limitando la responsabilità dell’erede al valore dell’attivo ereditario.
Alla maggiore età, il figlio può compiere autonomamente atti di accettazione o rinuncia, ma solo entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Se l’eredità è stata accettata senza inventario, la possibilità di rinuncia successiva è negata, anche se la giurisprudenza consente in alcuni casi l’inerzia del legale rappresentante, lasciando aperta la possibilità di decisioni future.
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